Novità 2023

Canti per ogni stagione e ogni festività dell’anno

“Quando tu eri

lassù nella stella

guardavi la Terra

luminosa e bella…”

Quante volte questa canzone ha accompagnato gli auguri di Compleanno! L’autrice è l’amata maestra Ornella Marchesan Colonna, musicista, insegnante per oltre quarant’anni di canto, recitazione e musica, nonché cofondatrice negli anni Ottanta, insieme con il marito Salvatore Colonna ed un gruppo di amici-genitori, della storica Scuola Steineriana di Oriago.

Le canzoni di Ornella Marchesan – un vastissimo repertorio di brani composti per i suoi allievi – sono conosciute nelle scuole steineriane di molte parti d’Italia e d’Europa. Da anni circolano e si sono diffuse in molte versioni e reinterpretazioni, spesso vengono cantate senza che l’origine sia nota, perché da sempre manca la firma o l’attribuzione è andata persa.

Ornella Marchesan ha lasciato il piano terreno diversi anni fa. In sua memoria, la figlia Martina Greta Colonna, musicista, scrittrice e docente, ha condotto un lavoro di amorevole e minuziosa ricostruzione dei canti, per tramandarli nella loro forma originale e farne dono a tutti coloro – insegnanti, genitori, ex allievi ed appassionati – che desiderano poter conoscere le canzoni di Ornella Marchesan nella loro veste più autentica.

Nella selezione di brani curata da Martina Greta si trasmette dunque tutta la forza espressiva, il senso e la bellezza di canzoni nate non solo da una vivace vena creativa, ma anche da una costante ricerca musicale e pedagogica operata nel corso degli anni direttamente “sul campo”, come esperienza viva e concreta. Nel comporre, Ornella Marchesan aveva presente davanti a sé tutti i bambini e al tempo stesso ogni bambino e ogni bambina nella sua peculiarità; per questo, nelle sue canzoni, non una nota né una parola venivano scritte a caso 🎶❤️

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Nuova Ristampa 2023

Amina. Una storia dell’alfabeto

«Ho inventato questa storia per insegnare l’alfabeto a mia figlia, poco prima dell’inizio della scuola, secondo il metodo di Rudolf Steiner. La bambina adesso è cresciuta, ma ricorda ancora con grande affetto la “storia dell’alfabeto”.

PERCHÉ QUESTO METODO?

Il metodo usuale per l’insegnamento dell’alfabeto consiste nel proporre al bambino la scrittura ripetuta di ogni singola lettera in più grafie diverse (“Scrivi trenta A in stampato maiuscolo, trenta in stampato minuscolo, trenta in corsivo minuscolo, dieci in corsivo maiuscolo…”). Poi, quando il bambino è stanco, lo si fa dipingere e disegnare, affinché ne ottenga sollievo.

Infatti, il lavoro intellettuale affatica il bambino molto più dell’adulto.

Il bambino che viene costretto a lavorare in modo così astratto ha sempre bisogno di un recupero: colorare,

correre, saltare, giocare, cantare, fare chiasso, disubbidire… questo porta le maestre ad allungare, se necessario, i tempi della “ricreazione”. Ciò è molto giusto: i bimbi hanno bisogno di ri-crearsi. (Sono infatti “distrutti”!)

La domanda è: esiste un metodo meno astratto che non “distrugga” il bambino e che anzi lo rafforzi, proprio mentre… apprende?

Ovvero:

Può essere, l’insegnamento, meno astratto?

Con il metodo usato in questo libro si procede più lentamente che nel metodo tradizionale: si insegna una sola lettera in stampato maiuscolo in tre giorni. Il corsivo verrà solo molto più tardi (nelle classi successive). Una volta imparato l’alfabeto, si procede prima con la scrittura di parole e pensieri, e solo più tardi con la lettura che, impegnando poco l’attività diretta del bambino, lo affatica molto di più.

È essenziale in questo metodo evitare il più possibile la ripetitività (sempre priva di gioia) della forma astratta. Essa viene sostituita dalla forte sperimentazione interiore di quanto viene appreso. Il bambino che sperimenta interiormente quanto apprende lo fa proprio, collegandolo con la propria vita, con la propria interiorità, insomma con tutto se stesso. L’intero suo essere viene coinvolto: il corpo fisico (con il movimento, i sensi, il ritmo), la sfera del sentimento (le emozioni provate durante il racconto, la condivisione con i compagni e con la maestra) e il pensiero (ogni storia termina con il pensiero: «Ecco perché i grandi scrivono così!»).

Tutto questo dà grande gioia al bambino che si apre al mondo e si sente personalmente coinvolto nell’apprendimento.

Nel corso degli anni, ciò gli tornerà molto utile. La vita di un uomo che da piccolo ha solo dovuto imparare tante più cose possibile nel minor tempo possibile è radicalmente diversa dalla vita di un uomo che, da piccolo, ha goduto di ogni momento vissuto. Forzare le capacità intellettive dei bambini per ottenere chissà quali – precoci – risultati (spesso utili più che altro a gratificare gli adulti e a stare al passo accelerato della nostra società) porta a un vantaggio solo apparente e in realtà ne causa un indebolimento. Diversamente, l’essere umano che ha goduto appieno potrà sviluppare una maggiore soddisfazione verso la vita in generale, e ciò gli darà coraggio ed equilibrio anche nelle situazioni avverse.

L’essere umano non vuole “mandare giù” gli insegnamenti: vuole assaporarli ed esserne soddisfatto. Ciò vale anche per l’adulto, quando affronta le sfide che la vita gli pone.

Ci tengo inoltre a precisare che questo metodo non intende affatto “non stancare” il bambino (una cosa simile sarebbe deleteria!), bensì anela a stancarlo in modo armonioso. Personalmente sono estremamente contraria all’insegnamento che vuole “sempre divertire”, mentre sono favorevole ad un insegnamento che vuole sempre interessare, coinvolgere il bambino. “Divertirlo” e basta è come raccontargli la menzogna che tutto, nella vita, deve venire da sé, senza sforzo né partecipazione: ciò equivale a svilire l’essere umano e renderlo il più possibile passivo.

La proposta è di stancare il bambino intero (la sua volontà, il suo sentimento e il suo pensiero insieme) durante l’apprendimento, piuttosto che non soltanto la sua testa. Un bambino stanco di notte dormirà e troverà ristoro nel sonno; un bambino stressato può perfino arrivare al punto di avere degli incubi, e in ogni caso il sonno lo ristora meno di quanto accade quando, invece, si stanca.

COSA OCCORRE

Per la prima scrittura sarebbe opportuno procurarsi dei quaderni bianchi a grammatura elevata. Sono difficili da reperire, ma sono facili da fabbricare. Personalmente, ho utilizzato dei fogli formato A3 da 180 gr/m, un cartoncino colorato per la copertina e una graffettatrice a braccio lungo. In mancanza della graffettatrice, i fogli si possono anche cucire con ago e filo lungo la piega centrale. Poi si incollano la prima e l’ultima facciata al cartoncino, per nascondere i fili e rendere il quaderno più solido.

È molto bello che il bambino o i bambini possano assistere alla fabbricazione dei loro quaderni, anche se non sono ancora affatto in grado di parteciparvi (cosa alla quale terrebbero moltissimo). Sentono che ci si occupa di loro dando molta importanza a quanto impareranno, al materiale che viene con cura scelto e utilizzato. È bene che sviluppino una sorta di leggera venerazione per i loro quaderni: innanzitutto è materiale scolastico e va trattato con rispetto, in secondo luogo la mamma o la maestra ci hanno lavorato, in terzo luogo… sono strumenti dell’imparare!

Come colori per gli sfondi e le cornici, così come per i disegni, ho fatto usare a mia figlia i blocchi di cera Stockmar. Non ne conosco di altre marche. Hanno toni gioiosi e si stendono perfettamente sul foglio. Un’altra ottima caratteristica è di essere sovrapponibili per le sfumature e di intonarsi tutti molto bene gli uni con gli altri (qualsiasi mescolanza riesce bella). Inoltre, presentano il vantaggio di non avere punta e di dover essere impugnati con l’intera mano: il bambino partecipa anche fisicamente alla pittura, mentre con la punta si tenderebbe alla figura più astratta, meno viva, cioè alla forma più che non al contenuto. Vanno usati come gli artisti usano i gessetti, dal lato lungo. Le figure emergono così dal gesto, dall’attività, dal movimento.

COME SI USA QUESTO LIBRO?

Il libro si suddivide in due parti: la storia di Amina e la sezione degli esercizi.

La storia di Amina, una storia dell’alfabeto

Ho illustrato la storia in modo molto semplice, ma trovo ugualmente più utile il racconto a voce da parte dell’adulto, senza libro. Questo secondo modo di procedere stimola infatti la fantasia creativa del bambino, che potrà dipingere la scena sul suo quaderno come se l’è immaginata da solo. Suggerisco quindi di proporgli soltanto in un secondo momento l’illustrazione realizzata da me.

Per quanto riguarda l’alfabeto, è necessario tener conto che le vocali esprimono sentimenti, mentre le consonanti imitano la forma di oggetti del mondo esterno.

Per le vocali, il maestro o il genitore si predispone interiormente al sentimento che predominerà nel racconto, secondo le indicazioni date alle pagine 115-116, in modo da poter creare, leggendo, l’atmosfera adatta. Tale atmosfera deve riverberare a lungo, nei tre giorni, eccetto per la U, che esprimendo paura è meglio ridurre di intensità. Anche l’illustrazione da me proposta per la U si differenzia dalle altre per il fatto che la mamma non fa una U con le braccia (in realtà fa una A): infatti, la mamma non ha mai paura! Questi dettagli sono molto importanti per l’inconscio del bambino. La U si trova solo nella valle e nelle orecchie del gufo (con un po’ di fantasia).

Poco prima di iniziare a raccontare la storia, molto brevemente la mamma o la maestra introduce il sentimento che predominerà nella scena di quel giorno. Per la A, per esempio, potrebbe osservare: “Ah, che bella giornata!” Oppure: “Ah, che bel sole! Ah che bello, quando piove e rinfresca! Ah, finalmente il cielo bagna i campi! Com’è bello, che l’erba si disseti! Siete anche voi contenti? Cosa avete fatto o visto di meraviglioso, venendo a scuola?, ecc.”. Per la E potrebbe invece esordire dicendo: “Ma a voi pare giusto che uno ti porti via il parcheggio da sotto il naso, mentre stai manovrando? Eh, no!”, introducendo così (quasi per caso) già in anticipo l’atmosfera del racconto.

Per le consonanti, invece del gesto, si trae direttamente la forma della lettera da quella dell’oggetto che verrà utilizzato per insegnarla. Le consonanti vengono ricavate con gioia dalle forme degli oggetti. È necessario che il bambino parta dall’oggetto e in modo artistico riesca a ricavare il segno dello stampato maiuscolo. Deve essere un processo artistico e creativo, non imposto in maniera astratta e per lui passiva. Deve impiegare la fantasia, proprio così come hanno fatto un tempo coloro che inventarono l’alfabeto. Usarono forse altri oggetti, ma il processo è proprio lo stesso. Volendo scrivere e non sapendo farlo, si inventò una scrittura ricavando le consonanti da oggetti significativi.

Per chi non è pratico, aggiungo che è opportuno evitare di dare un nome alla lettera, per esempio la S si chiami “S”, non “Esse”. Il nonno esclama “Una D!”, non “Una Di!”: il bambino viene disturbato dalla dicitura “Effe”, perché percepisce in modo più immediato la F come suono, mentre la “Effe” è una astrazione prematura. I nomi delle lettere verranno dati solo molto più avanti, quando si vorrà insegnare l’ordine alfabetico (normalmente nelle classi successive).

La sequenza che ho scelto per le consonanti è in parte dovuta anche all’andamento del racconto. Perciò la T è finita dopo la C, la G, la H e la S, nonostante sia una lettera facile da usare. Le combinazioni di più lettere perciò la precedono. Questo rende del resto non pedante la didattica. […]

Sia per le vocali che per le consonanti propongo questo schema, in cui ogni lettera viene imparata in tre giorni [seguono nel libro la proposta di uno schema di lavoro, le peculiari indicazioni per le vocali e la spiegazione degli esercizi].

Infine, non si tema mai un rallentamento dei tempi: attraverso tutto ciò che viene proposto imparano davvero molto! Molto di più che non un “semplice” alfabeto.»

BUON LAVORO!

Laura Vanelli

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Nuova Edizione italiana 2023

I tre Re Magi e la storia del quarto Re. Edizione ampliata

«Ho conosciuto molte antiche leggende sui tre Re. Mentre le raccontavo ai bambini, anno dopo anno, l’unione dei vecchi motivi con uno sperimentare per immagini ha dato forma a ciò che è raccolto in questo libro.
Fa eccezione la leggenda del quarto Re. Incontrai questa storia come uno schizzo appena abbozzato nel Natale del 1945, nella miseria dell’ultimo anno di guerra. Era contenuta nel supplemento di Natale di un quotidiano svizzero. Mi toccò profondamente. Scrissi alla redazione del giornale chiedendo indicazioni sull’autore. Mi rispose una scrittrice svedese. Mi spiegò che aveva incontrato la leggenda del quarto Re sotto forma di frammenti e che probabilmente il racconto proveniva dalla Russia. Il suo quarto Re non aveva neppure un nome. In me, quella figura acquistò sempre più vita. Nei racconti ai bambini, crebbe e si aggiunse alle altre mie leggende sui Re ricevendo il nome “Talander”. Infine, nel 1951 la leggenda apparve in una prima edizione del mio libro dei Re. Solo venticinque anni dopo scoprii che nel 1923 era già stata pubblicata la storia del quarto Re di Henry van Dyke, con il titolo The Other Wise Man. Si trattava di un’edizione inglese nella cui prefazione l’autore spiegava di aver dato vita a quel racconto quasi come in un sogno, e che il racconto subito era stato tradotto in varie lingue e si era diffuso, talvolta senza il suo nome. In tedesco fu pubblicato nel 1973 dalla casa editrice dell’Associazione Internazionale degli Asili Waldorf di Stoccarda, con ristampe successive per le edizioni Ogham di Dornach. Il presente racconto deve dunque la sua idea di fondo anche a Henry van Dyke, ma nel suo cammino esteriore e interiore ha conosciuto una successione di immagini un poco diversa se pur affine.
Il capitolo del ritorno dei tre Re alle loro terre è ispirato a ciò che scrive Marco Polo sui Magi nei suoi resoconti di viaggio e compare per la prima volta in questa edizione del libro.
I disegni a penna di Assja Turgenieff (Mosca, 1890 – Dornach, 1966), realizzati con la tecnica del chiaroscuro a tratteggio secondo le indicazioni di Rudolf Steiner, sono la riproduzione degli originali del 1951 che corredavano la prima edizione di questa opera.»

Jakob Streit

(Postfazione all’edizione ampliata pubblicata in lingua tedesca nel 2002.)

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