Amina. Una storia dell’alfabeto

«Ho inventato questa storia per insegnare l’alfabeto a mia figlia, poco prima dell’inizio della scuola, secondo il metodo di Rudolf Steiner. La bambina adesso è cresciuta, ma ricorda ancora con grande affetto la “storia dell’alfabeto”.

PERCHÉ QUESTO METODO?

Il metodo usuale per l’insegnamento dell’alfabeto consiste nel proporre al bambino la scrittura ripetuta di ogni singola lettera in più grafie diverse (“Scrivi trenta A in stampato maiuscolo, trenta in stampato minuscolo, trenta in corsivo minuscolo, dieci in corsivo maiuscolo…”). Poi, quando il bambino è stanco, lo si fa dipingere e disegnare, affinché ne ottenga sollievo.

Infatti, il lavoro intellettuale affatica il bambino molto più dell’adulto.

Il bambino che viene costretto a lavorare in modo così astratto ha sempre bisogno di un recupero: colorare,

correre, saltare, giocare, cantare, fare chiasso, disubbidire… questo porta le maestre ad allungare, se necessario, i tempi della “ricreazione”. Ciò è molto giusto: i bimbi hanno bisogno di ri-crearsi. (Sono infatti “distrutti”!)

La domanda è: esiste un metodo meno astratto che non “distrugga” il bambino e che anzi lo rafforzi, proprio mentre… apprende?

Ovvero:

Può essere, l’insegnamento, meno astratto?

Con il metodo usato in questo libro si procede più lentamente che nel metodo tradizionale: si insegna una sola lettera in stampato maiuscolo in tre giorni. Il corsivo verrà solo molto più tardi (nelle classi successive). Una volta imparato l’alfabeto, si procede prima con la scrittura di parole e pensieri, e solo più tardi con la lettura che, impegnando poco l’attività diretta del bambino, lo affatica molto di più.

È essenziale in questo metodo evitare il più possibile la ripetitività (sempre priva di gioia) della forma astratta. Essa viene sostituita dalla forte sperimentazione interiore di quanto viene appreso. Il bambino che sperimenta interiormente quanto apprende lo fa proprio, collegandolo con la propria vita, con la propria interiorità, insomma con tutto se stesso. L’intero suo essere viene coinvolto: il corpo fisico (con il movimento, i sensi, il ritmo), la sfera del sentimento (le emozioni provate durante il racconto, la condivisione con i compagni e con la maestra) e il pensiero (ogni storia termina con il pensiero: «Ecco perché i grandi scrivono così!»).

Tutto questo dà grande gioia al bambino che si apre al mondo e si sente personalmente coinvolto nell’apprendimento.

Nel corso degli anni, ciò gli tornerà molto utile. La vita di un uomo che da piccolo ha solo dovuto imparare tante più cose possibile nel minor tempo possibile è radicalmente diversa dalla vita di un uomo che, da piccolo, ha goduto di ogni momento vissuto. Forzare le capacità intellettive dei bambini per ottenere chissà quali – precoci – risultati (spesso utili più che altro a gratificare gli adulti e a stare al passo accelerato della nostra società) porta a un vantaggio solo apparente e in realtà ne causa un indebolimento. Diversamente, l’essere umano che ha goduto appieno potrà sviluppare una maggiore soddisfazione verso la vita in generale, e ciò gli darà coraggio ed equilibrio anche nelle situazioni avverse.

L’essere umano non vuole “mandare giù” gli insegnamenti: vuole assaporarli ed esserne soddisfatto. Ciò vale anche per l’adulto, quando affronta le sfide che la vita gli pone.

Ci tengo inoltre a precisare che questo metodo non intende affatto “non stancare” il bambino (una cosa simile sarebbe deleteria!), bensì anela a stancarlo in modo armonioso. Personalmente sono estremamente contraria all’insegnamento che vuole “sempre divertire”, mentre sono favorevole ad un insegnamento che vuole sempre interessare, coinvolgere il bambino. “Divertirlo” e basta è come raccontargli la menzogna che tutto, nella vita, deve venire da sé, senza sforzo né partecipazione: ciò equivale a svilire l’essere umano e renderlo il più possibile passivo.

La proposta è di stancare il bambino intero (la sua volontà, il suo sentimento e il suo pensiero insieme) durante l’apprendimento, piuttosto che non soltanto la sua testa. Un bambino stanco di notte dormirà e troverà ristoro nel sonno; un bambino stressato può perfino arrivare al punto di avere degli incubi, e in ogni caso il sonno lo ristora meno di quanto accade quando, invece, si stanca.

COSA OCCORRE

Per la prima scrittura sarebbe opportuno procurarsi dei quaderni bianchi a grammatura elevata. Sono difficili da reperire, ma sono facili da fabbricare. Personalmente, ho utilizzato dei fogli formato A3 da 180 gr/m, un cartoncino colorato per la copertina e una graffettatrice a braccio lungo. In mancanza della graffettatrice, i fogli si possono anche cucire con ago e filo lungo la piega centrale. Poi si incollano la prima e l’ultima facciata al cartoncino, per nascondere i fili e rendere il quaderno più solido.

È molto bello che il bambino o i bambini possano assistere alla fabbricazione dei loro quaderni, anche se non sono ancora affatto in grado di parteciparvi (cosa alla quale terrebbero moltissimo). Sentono che ci si occupa di loro dando molta importanza a quanto impareranno, al materiale che viene con cura scelto e utilizzato. È bene che sviluppino una sorta di leggera venerazione per i loro quaderni: innanzitutto è materiale scolastico e va trattato con rispetto, in secondo luogo la mamma o la maestra ci hanno lavorato, in terzo luogo… sono strumenti dell’imparare!

Come colori per gli sfondi e le cornici, così come per i disegni, ho fatto usare a mia figlia i blocchi di cera Stockmar. Non ne conosco di altre marche. Hanno toni gioiosi e si stendono perfettamente sul foglio. Un’altra ottima caratteristica è di essere sovrapponibili per le sfumature e di intonarsi tutti molto bene gli uni con gli altri (qualsiasi mescolanza riesce bella). Inoltre, presentano il vantaggio di non avere punta e di dover essere impugnati con l’intera mano: il bambino partecipa anche fisicamente alla pittura, mentre con la punta si tenderebbe alla figura più astratta, meno viva, cioè alla forma più che non al contenuto. Vanno usati come gli artisti usano i gessetti, dal lato lungo. Le figure emergono così dal gesto, dall’attività, dal movimento.

COME SI USA QUESTO LIBRO?

Il libro si suddivide in due parti: la storia di Amina e la sezione degli esercizi.

La storia di Amina, una storia dell’alfabeto

Ho illustrato la storia in modo molto semplice, ma trovo ugualmente più utile il racconto a voce da parte dell’adulto, senza libro. Questo secondo modo di procedere stimola infatti la fantasia creativa del bambino, che potrà dipingere la scena sul suo quaderno come se l’è immaginata da solo. Suggerisco quindi di proporgli soltanto in un secondo momento l’illustrazione realizzata da me.

Per quanto riguarda l’alfabeto, è necessario tener conto che le vocali esprimono sentimenti, mentre le consonanti imitano la forma di oggetti del mondo esterno.

Per le vocali, il maestro o il genitore si predispone interiormente al sentimento che predominerà nel racconto, secondo le indicazioni date alle pagine 115-116, in modo da poter creare, leggendo, l’atmosfera adatta. Tale atmosfera deve riverberare a lungo, nei tre giorni, eccetto per la U, che esprimendo paura è meglio ridurre di intensità. Anche l’illustrazione da me proposta per la U si differenzia dalle altre per il fatto che la mamma non fa una U con le braccia (in realtà fa una A): infatti, la mamma non ha mai paura! Questi dettagli sono molto importanti per l’inconscio del bambino. La U si trova solo nella valle e nelle orecchie del gufo (con un po’ di fantasia).

Poco prima di iniziare a raccontare la storia, molto brevemente la mamma o la maestra introduce il sentimento che predominerà nella scena di quel giorno. Per la A, per esempio, potrebbe osservare: “Ah, che bella giornata!” Oppure: “Ah, che bel sole! Ah che bello, quando piove e rinfresca! Ah, finalmente il cielo bagna i campi! Com’è bello, che l’erba si disseti! Siete anche voi contenti? Cosa avete fatto o visto di meraviglioso, venendo a scuola?, ecc.”. Per la E potrebbe invece esordire dicendo: “Ma a voi pare giusto che uno ti porti via il parcheggio da sotto il naso, mentre stai manovrando? Eh, no!”, introducendo così (quasi per caso) già in anticipo l’atmosfera del racconto.

Per le consonanti, invece del gesto, si trae direttamente la forma della lettera da quella dell’oggetto che verrà utilizzato per insegnarla. Le consonanti vengono ricavate con gioia dalle forme degli oggetti. È necessario che il bambino parta dall’oggetto e in modo artistico riesca a ricavare il segno dello stampato maiuscolo. Deve essere un processo artistico e creativo, non imposto in maniera astratta e per lui passiva. Deve impiegare la fantasia, proprio così come hanno fatto un tempo coloro che inventarono l’alfabeto. Usarono forse altri oggetti, ma il processo è proprio lo stesso. Volendo scrivere e non sapendo farlo, si inventò una scrittura ricavando le consonanti da oggetti significativi.

Per chi non è pratico, aggiungo che è opportuno evitare di dare un nome alla lettera, per esempio la S si chiami “S”, non “Esse”. Il nonno esclama “Una D!”, non “Una Di!”: il bambino viene disturbato dalla dicitura “Effe”, perché percepisce in modo più immediato la F come suono, mentre la “Effe” è una astrazione prematura. I nomi delle lettere verranno dati solo molto più avanti, quando si vorrà insegnare l’ordine alfabetico (normalmente nelle classi successive).

La sequenza che ho scelto per le consonanti è in parte dovuta anche all’andamento del racconto. Perciò la T è finita dopo la C, la G, la H e la S, nonostante sia una lettera facile da usare. Le combinazioni di più lettere perciò la precedono. Questo rende del resto non pedante la didattica. […]

Sia per le vocali che per le consonanti propongo questo schema, in cui ogni lettera viene imparata in tre giorni [seguono nel libro la proposta di uno schema di lavoro, le peculiari indicazioni per le vocali e la spiegazione degli esercizi].

Infine, non si tema mai un rallentamento dei tempi: attraverso tutto ciò che viene proposto imparano davvero molto! Molto di più che non un “semplice” alfabeto.»

BUON LAVORO!

Laura Vanelli

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